Coefficienti di trasformazione più basse nel 2025-2026, pensioni più basse

Le pensioni tornano a scendere. Chi avrà la decorrenza della pensione nel 2025, avrà diritto a un assegno pensionistico più basso rispetto a chi ha deciso di lasciare il lavoro entro la fine del 2024. Il ministero del Lavoro, di concerto con il ministero dell’Economia e delle Finanze, ha pubblicato, sul proprio sito istituzionale (nella sezione pubblicità legale), il decreto direttoriale del 20 novembre, concernente la revisione biennale dei coefficienti di trasformazione del montante contributivo, che aggiorna la Tabella A dell’allegato 2 della Legge n. 247/2007 e la Tabella A della Legge n. 335/1995.
Di cosa si tratta? Lo diremo in maniera semplicistica: il lavoratore, durante tutta la sua vita lavorativa, accantona ogni anno i contributi.  Questi, al momento del ritiro dal lavoro, vengono trasformati in pensione per mezzo dell’applicazione di coefficienti chiamati di trasformazione che variano in base all’età e periodicamente revisionati. L’ultima revisione c’è stata nel 2022, riferita al biennio 2023/2024.

Un esempio concreto. Un lavoratore di 67 anni con 400mila euro di contributi accantonati (c.d. montante contributivo) se fosse andato in pensione nel 2024, avrebbe avuto diritto a una pensione annua di 22.892 euro; di 22.432 euro annui invece nel 2025, con 460 euro in meno (circa 35 euro al mese) a parità di montante e di età.

Come si esegue in maniera semplice il calcolo: coefficiente di trasformazione anno 2024 5,723 %; coefficiente di trasformazione anno 2025 5,608 %.

  • montante x 5,723 % :13 = 1.760,92 euro (mensile pensione lordo)
  • montante x 5,608%: 13 =1.725, 54(mensile pensione lordo)

Durante A. M. Cristina




Art.19 del DDL Lavoro: Dimissioni per fatti concludenti, al via la nuova procedura con qualche criticità

Il DDL Lavoro, reintroduce, nel nostro ordinamento le dimissioni per fatti concludenti. L’art.19 del DDL integra l’art. 26 del D.lgs. n. 151/2015. Il Legislatore dispone che, in caso di assenza ingiustificata protratta oltre i termini previsti dal CCNL o, in mancanza di previsione contrattuale, per un periodo superiore a 15 giorni, il datore di lavoro dà comunicazione all’Ispettorato del Lavoro che ha facoltà di effettuare accertamenti, ed il rapporto si intenderà risolto per volontà del lavoratore e senza applicazione della procedura telematica. Salvo la possibilità per il lavoratore di dimostrare l’impossibilità di comunicare il motivo dell’assenza, per causa di forza maggiore o per fatti imputabile al datore di lavoro. L’onere della prova grava sul dipendente.

Tutto lineare? La norma presenta alcune criticità. La prima riguarda il tempo necessario per considerare il lavoratore come dimissionario. Esso non è uguale per tutti i settori di attività in quanto i contratti collettivi non sono tutti uguali e per le assenze ingiustificate, foriere di licenziamento, prevedono un numero di giorni diversi (ad esempio, il CCNL metalmeccanici del settore industria parla di oltre 4 giorni). Se, per ipotesi, la contrattazione collettiva non dovesse dire nulla (opinione poco realistica) occorrerebbe attendere il trascorrere di un periodo superiore a 15 giorni da configurarsi come assenza ingiustificata.

La seconda questione riguarda il ruolo dell’Ispettorato del Lavoro.

La comunicazione dovrebbe portare alla verifica della situazione legata alle dimissioni. Essa appare, nella sostanza, una formalità priva di riscontri effettivi a meno che verranno date poi le indicazioni operative. Il controllo da parte dell’Ispettorato sembrerebbe porsi nei termini di una possibilità e non di un vero e proprio obbligo procedurale. Alla luce di ciò, cosa dovrebbe fare, se ritenesse di intervenire, l’organo di vigilanza?

Dovrebbe vigilare sul lavoratore, convocarlo per accertarsi che le dimissioni, non effettuate con la usuale procedura telematica, corrispondano al vero, cioè che egli stesso non abbia giustificato l’assenza dal posto di lavoro per causa imputabile solo a lui? E, nel caso in cui accertasse, soprattutto nelle piccolissime realtà che è rimasto a casa perché il datore di lavoro, a voce, gli ha detto di non presentarsi più in azienda, quale sarebbe l’iter? Dovrebbe consigliare al lavoratore di impugnare la risoluzione del rapporto come licenziamento orale, portando in giudizio le prove della responsabilità del datore? Dovrebbe consigliare al lavoratore di effettuare un tentativo di conciliazione sul licenziamento orale? Sarà l’Ispettorato Nazionale del Lavoro, l’organo deputato a fornire le indicazioni operative alle proprie articolazioni periferiche territoriali?

 In buona sostanza, con le dimissioni per fatti concludenti,  il datore di lavoro non pagherà più il contributo ticket NASpI licenziamento (Legge Fornero);  il datore di lavoro potrà trattenere, all’atto della erogazione delle competenze di fine rapporto, l’indennità di mancato preavviso se, appunto, non è stato lavorato; il lavoratore, essendo dimissionario e non licenziato, non potrà fruire della  NASpI che spetta soltanto nella ipotesi in cui il lavoratore abbia perso il posto involontariamente, attraverso il recesso del datore di lavoro o nelle ipotesi di dimissioni equiparate dal legislatore al licenziamento. Ovviamente la disposizione precisa che il rapporto di lavoro non si intenderò risolto se il lavoratore dimostrerà di essere stato impossibilitato a comunicare il motivo della sua assenza per causa di forza maggiore o per fatti imputabili al datore di lavoro.

Durante A.M. Cristina




Inferno al deposito ENI di Calenzano

LUIGI MINOIA, SEGRETARIO GENERALE CONFIL: “ALTRE CINQUE VITTIME E L’ITALIA ASSISTE INERME ALL’ENNESIMA STRAGE ANNUNCIATA SUL LAVORO”

 

“Le parole non bastano più! I lavoratori avevano più volte denunciato la precarietà delle condizioni di lavoro nel deposito Eni di Calenzano dove si è consumata l’ennesima strage annunciata sul lavoro. Chiediamo che su questa tragedia venga fatta piena luce e si individuino le responsabilità”.

 

Così il segretario generale Confil, Confederazione Italiana Lavoratori, Luigi Minoia dopo l’esplosione costata la vita a cinque operai mentre altre 29 persone sono rimaste ferite, di cui due sono in gravissime condizioni.

 

“Al dolore e al cordoglio per le famiglie – dichiara Minoia – è doverosa la ricerca della verità. Ma a Governo e Parlamento tocca intervenire finalmente e concretamente per impedire questa inarrestabile catena di morti sul lavoro.”

 

“La Confil – prosegue Minoia – da tempo propone di utilizzare parte degli utili di bilancio dell’Inail, accantonati e addirittura investiti anche in titoli di stato, per finanziare l’assunzione di centinaia di ispettori mancanti per aumentare sensibilmente i controlli. L’avanzo record di bilancio dell’Inail di 41 miliardi di euro accumulati negli anni sul conto di Tesoreria dello stato e non spesi per la prevenzione, sono una tragica beffa per migliaia di vittime sul lavoro.”




Primo approccio alla riforma disabilità

Dal 1° gennaio 2025 ci sarà la prima applicazione delle importanti novità previste dallaRiforma disabilità. Verrà dato il via, appunto, alla sperimentazione che interesserà 9 province italiane nelle quali diventeranno operative le modalità introdotte, in particolare, dal Decreto Legislativo n.62 del 2024 che prevede nuove procedure in materia disabilità. Si tratta di una sperimentazione delle misure che diverranno poi attuative in tutta Italia dagennaio 2026. Allo scopo, nelle province che saranno interessate all’avvio, è in corso l’iter procedurale del sistema di accertamento dell’invalidità civile con l’introduzione del Progetto Vita.

Vediamo in sintesi quali sono le principali novità introdotte dal Decreto legislativo62/2024, che modificheranno le attuali procedure.
Ci sarà un certificato introduttivo da parte del medico certificatore.
Ci sarà una commissione che si chiamerà Unità Di Valutazione Di Base che sarà l’unica presso le 9 sedi sperimentali e poi, dal gennaio 2026, sarà solo l’INPS, su tutto il territorio nazionale, ad occuparsi del riconoscimento e dell’accertamento. Ci sarà un unico verbale che in realtà non si chiamerà più verbale, ma certificazione unica che sostituirà i precedenti verbali differenziati di invalidità civile, legge 104, sordità, cecità etc.

Quindi, un unico documento che il cittadino potrà utilizzare per accedere a tutte le prestazioni, anche fiscali. Si elimineranno molte rivedibilità ossia ci sarà solo un gruppo di patologie che richiederanno la rivedibilità. Verranno introdotti 4 livelli di intensità di sostegno (lieve, medio, elevato, molto elevato). Verrà utilizza il questionario WHODAS, così come prescritto dalla organizzazione mondiale sanità, per valutare l’aspetto qualitativo della persona.

La grande novità della riforma partirà dalla valutazione della persona con disabilità, che verrà appunto valutata in senso “olistico”cioè non più “parcellizzata” per quelle che sono le sue patologie ma valutata in quella che è invece la sua capacità di partecipare e di avere una vita di relazione. L’approccio adottato cambierà il paradigma e adotterà il sistema binario con riferimento all’ICD (Classificazione Internazionale delle Malattie) e all’ICF (Classificazione Internazionale del Funzionamento, della Disabilità, della Salute), il primo riferito all’ambito nosologico e il secondo all’ambito funzionale.

Sottolineando l’importanza della collaborazione con associazione e terzo settore, la sperimentazione servirà anche per eventualmente correggere, al termine della prova di un anno, criticità che dovessero emergere.

L’INPS sarà capofila delle novità previste dalla riforma, la quale non solo cambia l’aspetto normativo ma anche le procedure pratiche, con il coinvolgimento di istituzioni, associazioni di categoria, patronati.

Durante A.M. Cristina




E’ possibile cumulare il congedo straordinario e i permessi della Legge 104 per l’assistenza alla stessa persona disabile?

Il Congedo Straordinario è disciplinato dall’art. 42, comma 5 del D.lgs. n. 151/2001. Attraverso tale istituto, è possibile usufruire di un congedo biennale retribuito perassistere una persona affetta da grave disabilità.
Per accedere a questo beneficio, è necessario convivere con la persona da assistere oppure avere la dimora temporanea attraverso l’iscrizione allo schedario anagrafico dimora temporanea del comune residente il familiare da assistere e rispettare l’ordine/grado di parentela stabilito dalla normativa.  
Infatti, in ordine di priorità, il congedo viene concesso al coniuge convivente, alla parte di un’unione civile, o al convivente di fatto, come stabilito dal comma 20 dell’art. 1 della Legge Cirinnà. Se queste figure non sono disponibili a causa di decesso, assenza o gravi patologie, età avanzata piu’ patologie, il diritto passa ai genitori (anche adottivi) e, in mancanza di questi, ai figli e così via fino ai parenti o affini entro il terzo grado di parentela.

Il congedo straordinario sopra menzionato ha una durata massima di due anni. Può essere richiesto una sola volta in tutta la vita lavorativa dal lavoratore dipendente che diventa appunto caregiver. Non può essere fruito se la persona è ricoverata a tempo pieno, salvo però specifiche indicazioni da parte del personale sanitario, che potrebbe reputare necessaria la presenza del familiare.

 I permessi Legge 104, invece, sono concessi ai lavoratori per permettere loro di assistere un familiare con grave disabilità. Essi possono essere utilizzati per un massimo di tre giorni al mese in maniera continuativa o flessibile a seconda delle esigenze, e anche in ore. Part time e full time.

 

L’Inps ha dato risposta ad un importante quesito in materia di congedi straordinari e permessi ex Legge 104/92 in situazione di gravità. L’ente previdenziale ha fornito indicazioni circa la possibilità di attribuire il congedo straordinario a un familiare e i permessi della Legge 104 ad un parente diverso o a più parenti purchè utilizzati (i permessi) in maniera non coincidente. Questo “sistema” permette ai vari membri della famiglia di dividere la responsabilità dell’assistenza. L’Inps rammenta che il congedo straordinario per l’assistenza ad una persona con grave disabilità, non può essere concesso contemporaneamente a più di un lavoratore.

Durante A.M. Cristina




Stress da lavoro, sì a diritto della tutela Inail?

Un’ importante sentenza apre la strada per il riconoscimento dell’origine professionale dello stress lavoro correlato. La pronuncia è della Corte d’Appello di Firenze che ha infatti riconosciuto la “costrizione lavorativa” come causa esclusiva di Malattia Professionale.

Gli ambienti di lavoro non sempre rispondono ai bisogni dei lavoratori in termini di benessere. Spesso sono presenti fattori di pressione legati a un eccessivo carico e a ritmi insostenibili che, nel lungo termine, possono avere conseguenze negative sulla salute dei lavoratori. Tra le problematiche maggiormente lamentate rientrano le malattie psicosomatiche, disturbi del sonno, ansia e depressione che causano disarmonia fra sé stessi e il proprio lavoro. E’ la patologia un po’ “figlia dei nostri tempi”.

Alcuni dei rischi che si sono rivelati più nocivi per la salute psichica dei lavoratori sono rappresentati dalla intensità e da orari di lavoro, ma anche dalle condizioni ambientali (rumorosità, posture viziate, etc) elementi che rappresentano un’altra importante sfida per la sicurezza e per la salute nei luoghi di lavoro. È importante sottolineare che la valutazione dello stress lavoro-correlato è parte integrante e fondamentale del Documento di Valutazione dei Rischi (DVR) e deve quindi essere effettuata da tutte le aziende che ricadono nel campo di applicazione del D.Lgs. 81/2008 ma anche il DVR ha dei limiti che non prendono in (giusta) considerazione la parte psichica – psicologica del lavoratore.

Il caso esaminato in giudizio riguarda un lavoratore della grande distribuzione con ruolo dirigenziale da oltre 20 anni che, a seguito di reiterate vessazioni, pressioni e contestazioni disciplinari, messe in atto dai suoi superiori e protrattesi per anni, ha iniziato a manifestare disturbi psichici che lo hanno costretto a lunghi periodi di malattia. Da qui la decisione del lavoratore ad avviare la richiesta di riconoscimento del nesso causale all’Inail per malattia professionale. In fase amministrativa però, nonostante le evidenti condizioni di stress cui era stato sottoposto sul posto di lavoro, l’Inail ha ritenuto di dover rigettare la domanda. È stato pertanto necessario adire per vie legali. Si è arrivati alla sentenza di primo grado, con la quale il Tribunale di Pisa accoglieva le ragioni del lavoratore riconoscendo l’origine lavorativa della patologia.

Il dispositivo della sentenza è stato successivamente confermato anche in secondo grado dalla Corte d’Appello di Firenze che, poiché non è stato impugnato dall’Inail, ha reso definitivo il riconoscimento. Questa sentenza rappresenta un grande passo in avanti per l’emersione dello stress- lavorativo come causa di danno prolungato nel tempo sulla salute del lavoratore. Quanto deciso dai giudici di merito di primo grado e secondo grado conferma che lo stress derivante dall’organizzazione del lavoro e dalle condizioni ambientali ad esso collegate, hanno conseguenze negative per la salute dei lavoratori. Lo stress può anche influire sull’attenzione del lavoratore durante lo svolgimento delle sue mansioni e quindi aumentare il rischio di infortuni.

I danni da lavoro che ne derivano sono ancora ampiamente sottostimati e spesso sono confusi con una qualsiasi malattia comune “tutelata” dall’ Inps. Ciò espone i lavoratori ad affrontare enormi difficoltà per l’ottenimento delle tutele Inail. Per il momento ci sono due sentenze, una di primo grado ed una di secondo grado; manca la “risposta di adeguamento” da parte dell’Inail ed un intervento normativo.

Durante A. M. Cristina




Bonus aggiuntivo per le pensioni 2024

A dicembre 2024, oltre 400 mila pensionati con bassi redditi riceveranno un importo aggiuntivo di 154,94€, previsto dalla legge n. 388/2000 e completamente esentasse. Questo beneficio verrà accreditato automaticamente in base all’importo della pensione attuale e ai redditi registrati nei database dell’Inps non precedenti al 2020. Inoltre, circa 200 mila pensionati che hanno raggiunto i 64 anni dopo il 1° agosto 2024 riceveranno la somma aggiuntiva nello stesso mese.

Beneficiari

Il beneficio è destinato ai titolari di pensioni (dirette o indirette) erogate dall’Inps o dalle Casse professionali. Non è applicabile a prestazioni non pensionistiche come l’assegno di esodo Fornero, indennità mensile nel contratto di espansione, o l’ape sociale.

Requisiti reddituali

Per ricevere l’importo aggiuntivo:

La pensione, comprese eventuali maggiorazioni, non deve superare il trattamento minimo Inps aumentato di 154,94€, per un totale di 7.936,87€.

Il reddito complessivo imponibile non deve superare 11.672,9€ annui, o 23.345,79€ annui se cumulato con il reddito del coniuge.

Pagamento

L’importo aggiuntivo sarà pagato con la rata di dicembre 2024 e indicato come “Importo Aggiuntivo (Legge 23 dicembre 2000 n. 388) – Credito Anno 2024”. La somma aggiuntiva sarà accreditata anche ai pensionati che hanno raggiunto i 64 anni tra il 1° agosto e il 31 dicembre 2024.

Infine, l’Inps ha avviato il recupero delle somme indebitamente corrisposte nel 2024 ai pensionati che hanno perso i requisiti per il beneficio nel secondo semestre del 2024.

Iurlaro Maria Pia




Indennità di disoccupazione agricola al 75% e non più al 40%

MINOIA: “PROPOSTA CONFIL DIVENTA EMENDAMENTO A LEGGE DI BILANCIO”

Fa un concreto passo avanti la proposta della Confederazione Italiana Lavoratori di equiparare l’indennità di disoccupazione agricola, oggi prevista del 40% della retribuzione, con quella dei lavoratori degli altri settori che è pari al 75%.

La proposta lanciata da Confil a maggio scorso, e più volte illustrata, è stata accolta in due emendamenti presentati all’articolo 29 bis della legge di Bilancio in modo bipartisan, uno con primo firmatario il deputato barese Marco Lacarra insieme ad Arturo Scotto e Mauro Laus del Pd e l’altro con prima firmataria Chiara Tenerini insieme a Giuseppe Pella e Francesco Cannizzaro di Forza Italia.

La proposta modifica la normativa vigente dell’articolo 55 della legge 247 del 2007 fissando per “gli operai agricoli a tempo determinato e le figure equiparate, a partire dal primo gennaio 2025, l’importo dell’indennità di disoccupazione nella misura del 75% della retribuzione ed è corrisposto per il numero di giornate di iscrizione negli elenchi nominativi”. E’ prevista una copertura finanziaria di 120 milioni l’anno.

“Si tratta di un grande risultato per correggere una legge ingiusta ponendo rimedio ad un trattamento diverso tra i lavoratori agricoli e quelli di tutti gli altri settori”, commenta il segretario generale Confil Luigi Minoia che sottolinea come “ai quasi seicentomila lavoratori agricoli non si garantisce oggi una vita dignitosa e serena nel periodo di disoccupazione involontaria, un disagio peraltro aggravato dagli effetti dell’inflazione.

Parliamo – prosegue Minoia – dei lavoratori che sono l’asse portante del made in Italy: il settore agroalimentare genera quasi 335 miliardi di valore aggiunto pari al 19% del pil. Il solo comparto agricolo vale 8,8 miliardi di export. Ringraziamo il mondo politico che ha accolto la nostra proposta – conclude il segretario generale Confil – sperando che possa essere approvata e diventare legge: il nostro impegno ora prosegue vigilando sui lavori parlamentari e con iniziative pubbliche di sostegno sul territorio”.

Di seguito il link al servizio di Telenorba: https://norbaonline.it/2024/11/20/rendere-piu-equa-lindennita-di-disoccupazione-agricola-proposta-confil-in-legge-di-bilancio/ 

 

 




Iscrizione nello schedario della popolazione temporanea

Per poter usufruire del Congedo straordinario biennale previsto dall’art. 42 del d.lgs n.151 del 2001 e successive modificazioni e integrazioni, è necessario che la persona da assistere sia in possesso dell’accertamento dello stato di handicap con necessità di sostegno elevato o molto elevato (art.3, comma3 legge 104/92) rilasciato, su verbale, dalla Commissione Medica Integrata Asl/Inps e che il lavoratore dipendente assistente abbia la residenza con il portatore di handicap in situazione di gravità. Il requisito della convivenza si intende però soddisfatto anche nei casi in cui vi sia la dimora temporanea, risultante dall’iscrizione nello schedario della popolazione temporanea.

 Il procedimento per l’iscrizione nello schedario della popolazione temporanea richiama in parte quello da osservare nella verifica della dichiarazione di residenza. L’art. 32 del regolamento anagrafico (D.P.R. 30 maggio 1989, n. 223) stabilisce che lo schedario include i cittadini italiani o stranieri impossibilitati per qualsiasi motivo a trasferire la residenza nel Comune.  

La valutazione della motivazione (problemi familiari, lavorativi, abitativi, ecc.) è rimessa dunque all’ufficiale d’anagrafe ed è discrezionale, stante la genericità della norma. Quindi non esistono – a priori – condizioni ostative all’accoglimento dell’istanza di iscrizione nello schedario della popolazione temporanea.

L’ufficiale di anagrafe dovrà pertanto valutare in fase istruttoria tutti quei fattori e quegli elementi utili alla corretta decisione finale, incluse eventuali dichiarazioni integrative dell’interessato, laddove ritenute utili. 

Nei Comuni dove non è stato istituito lo schedario della popolazione temporanea, l’ufficiale d’anagrafe non può, solo per questo motivo, non accordare il diritto del cittadino ad avere la residenza temporanea ad es. necessaria per assistere un congiunto in condizioni gravi di salute e beneficiare dei permessi e congedi che la norma prevede.

Accade talvolta che il cittadino recatosi al Comune per registrare tale condizione di temporanea dimora, si veda quindi negata l’iscrizione in tale registro.

Per ovviare a tale situazione, lesiva del suo diritto, egli può inviare una istanza, via pec o raccomandata, di dichiarazione equivalente ad affermare la dimora temporanea e le ragioni di essa. Tale comunicazione diventa l’atto di iniziativa che attiva il relativo procedimento amministrativo ai sensi della L. 241/90 che deve essere concluso normalmente entro 30 giorni. 

Solo in tal modo, il cittadino può essere considerato indenne da censure di non poter dimostrare la effettività della dimora temporanea ai fini dei suoi diritti.

Durante A. M. Cristina




Assegno di inclusione sospeso per mancata comunicazione del reddito

L’Assegno di Inclusione viene sospeso se un familiare non dichiara nuovi redditi da lavoro entro 30 giorni dall’inizio del rapporto di lavoro. Dopo tre mesi senza comunicazione, il beneficio viene revocato. L’INPS ha avviato controlli nel mese di giugno 2024 per garantire il rispetto degli obblighi di segnalazione.

L’obbligo di comunicazione dei redditi è previsto dall’articolo 3, co. 5 del dl n. 48/2023 e dall’articolo 8, co. 8 del Dm 154/2023. I redditi derivanti da un nuovo impiego devono essere dichiarati utilizzando il modello “ADI-Com Esteso” entro 30 giorni dall’assunzione. Se il reddito aggiuntivo è fino a 3.000 € annui, non influisce sull’Aldi; oltre tale importo, il sussidio viene adeguato. La sospensione dura fino all’adempimento degli obblighi di segnalazione o fino a tre mesi dall’inizio del lavoro.

Se l’adempimento avviene entro tre mesi, il beneficio viene ripristinato con pagamenti retroattivi per il periodo di sospensione. I controlli INPS si applicano anche se sono stati effettuati versamenti precedenti prima della verifica della regolarità.

L’obbligo di segnalazione riguarda tutte le politiche del lavoro attive che offrono benefit o offerte di lavoro di durata inferiore a un mese, esclusi i tirocini per l’inclusione sociale. Il messaggio INPS n. 3624/2024 illustra tali procedure ed è entrato in vigore a partire da giugno 2024.La mancata comunicazione dei redditi comporta la sospensione automatica dei benefici da parte dell’INPS. Il documento sottolinea l’importanza di una comunicazione tempestiva per evitare di perdere i benefici.

Le famiglie possono evitare sanzioni presentando la documentazione richiesta prima della scadenza dei tre mesi. L’INPS utilizza i dati  trasmessi dai datori di lavoro per verificare le date di inizio del rapporto di lavoro e garantire la conformità.

Iurlaro Maria Pia