Gli oneri contributivi rappresentano una voce rilevante del costo del lavoro e sono una, fra le tantissime motivazioni, del dilagare del lavoro discontinuo, precario, in quanto le aziende sono alla ricerca di forme contrattuali meno onerose. Il costo della previdenza è sempre in aumento. Negli anni Settanta bastava un’aliquota inferiore al 20% per coprire tutte le prestazioni erogate dall’Inps, non solo le pensioni dunque. Oggi, nel caso del lavoro dipendente, occorre il 33% per le sole pensioni, senza peraltro poter assicurare l’equilibrio tra entrate e uscite.
Il “nostro” sistema pensionistico è fondato sul criterio della ripartizione, in maniera semplicistica: gli attivi al lavoro pagano le pensioni, confidando che ci saranno altri lavoratori che pagheranno, grazie ad un patto intergenerazionale garantito dallo Stato, le loro pensioni, quando verrà il loro turno. Ma gli attivi pagano gli oneri contributivi che finiscono nel calderone anche dell’assistenza. Sono in atto ampi processi di crisi: crisi del lavoro, crisi delle assunzioni, crisi demografica (pochi figli), crisi del mercato, crisi di riforme strutturali del lavoro, ed ecco che il numero degli occupati al lavoro diminuisce ed aumenta quello degli anziani, i quali vivono più a lungo. Sia chiaro: il finanziamento a capitalizzazione (i versamenti di ciascun lavoratore e i relativi rendimenti capitalizzati fornenti il montante su cui viene calcolata la pensione) non è la panacea a tutti i mali!
Nell’Europa continentale, i sistemi pensionistici obbligatori, generalmente a ripartizione, sono strettamente connessi agli assetti complessivi della finanza pubblica. Dalle trasformazioni demografiche, economiche ed occupazionali derivano non solo rischi di insostenibilità dei modelli previdenziali, a danno dei futuri pensionati italiani, soprattutto per coloro che hanno cominciato a lavorare a partire dal 1996 ma anche ostacoli all’ingresso nel mercato del lavoro della manodopera più giovane, tenuta a contribuire e ad assicurare – sempre nella logica della ripartizione – i flussi finanziari occorrenti al pagamento dei trattamenti in essere con quote crescenti reddituali.
Già nel 1993, il famoso Rapporto di Jacques Delors evidenziava che “il livello elevato degli oneri sociali si poneva come uno dei tanti ostacoli all’occupazione, esercitava un effetto dissuasivo alla stabilizzazione, favorendo “l’economia parallela”, incidendo particolarmente sull’occupazione delle piccole e medie aziende e, portando la delocalizzazione degli investimenti e delle attività”. A ciò si aggiunge una scarsa politica che non “aiuta” le aziende nelle assunzioni a più ampio respiro, cioè più stabili. Dulcis in fundo: il nodo della previdenza italiana che non divide l’assistenzialismo dalla previdenza vera e propria. Separare previdenza e assistenza, oltre a far chiarezza sulle diverse voci che compongono la spesa pensionistica, è una prova di equità per chi ha versato contributi e chi no. Si dovrebbe fare assistenzialismo diversamente! Separare assistenza e previdenza è propedeutico alla necessaria riforma del sistema PENSIONI, dichiara a gran voce la CONFIL.
Una corretta valutazione della spesa è fondamentale per capire come e dove agire. Una stima separata è necessaria sia nel confronto interno che europeo. Determinare una differenziazione è utile per evitare quelle speculazioni sui numeri della previdenza che spesso sono usati in modo fuorviante e strumentale, chiosa il Segretario Generale della CONFIL Luigi Minoia.
Durante A. M. Cristina